Decreto

dignità:

non serve

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di Marco Bentivogli

Perché non serve il decreto dignità

I dati sull’occupazione nel nostro paese sono molto preoccupanti. Non solo sono alti i numeri ma la qualità di dove si scarica la nuova disoccupazione è drammatica.

In costanza di blocco dei licenziamenti e di proroga di cassa Covid aver perso quasi 1 milione di posti di lavoro fa pensare e preoccuparsi.

La puntuale elaborazione di Francesco Seghezzi di Adapt sui dati del II trimestre 2020 fa vedere che ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti hanno lasciato scoperte alcune tipologie contrattuali diverse dal lavoro a tempo indeterminato dipendente (una strage sul lavoro autonomo, -219 mila, soprattutto quelli a mono-committenza) ma soprattutto i giovani tra i 15 e i 34 anni con un -3,2% di occupati. E il settore più colpito: il terziario con un calo degli occupati del 5,5%.

Se non fosse ancora chiaro non esistono tamponi proprio a causa dell’irrigidimento delle norme operato dal Governo giallo verde e confermato da quello giallo rosso, esiste un solo vaccino: l’abolizione del decreto dignità.

Non aiuta le conversioni in lavoro a tempo indeterminato (120 mila in meno rispetto al 2019) e nel frattempo fa strage di lavori a termine (-677 mila) e in somministrazione. La parte anti-delocalizzazioni ha rasentato il grottesco, ricordate la vicenda Whirlpool di Napoli? Siamo passati dal chiedere indietro i soldi di finanziamento pubblico per la chiusura del sito a offrirgli altri 18 milioni di euro per restare.

E’ l’ennesima prova che il paese ha bisogno di mettere al centro la questione lavoro. Lo si fa innanzitutto mettendo al bando grandi patti che non impegnano nessuno a far nulla di impegnativo e ennesime leggi sul mercato del lavoro buone per rifornire la salmeria della propaganda da un lato e per lo scontro dall’altro.

La battaglia sul lavoro deve unire il paese. Il primo passo è capire cosa serve. Noi dobbiamo rigenerare, urgentemente, le nostre città e le aree interne affinché siano adeguate alle grandi trasformazioni, definendo ecosistemi, habitat favorevoli allo sviluppo di persone e imprese.

Servono piani e infrastrutture in rete per la ricerca, come quelle pensate dal Piano Amaldi e altrettante per l’innovazione e il trasferimento tecnologico come il nostro progetto per un Fraunhofer in Italia.

I francesi nel loro “Recovery Plan”, chiamato France Relance, parlano di “sovranità tecnologica” ma dentro un piano che denota almeno chiarezza di visione: utilizzare le risorse straordinarie provenienti dall’Europa in tre macro-aree (ecologia, competitività, coesione), venticinque temi, sessantotto misure. Indicando, tra queste, almeno alcuni impegni direttamente riferiti a emergenze sociali: in particolare, lotta alla povertà e inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Mettere insieme l’economia ambientale, quella sociale e la manifattura 4.1 dovrebbe essere il vero volano alla creazione di lavoro vero.

Un pezzo del piano francese è molto interessante: Le strutture dell’economia sociale e solidale  hanno un ruolo di primo piano (…) come è emerso con evidenza all’apice della crisi e di questo si terrà conto nella fase di rilancio. I soggetti dell’economia sociale e solidale sono parte della resilienza dell’economia francese. Contribuiscono allo sviluppo di un modello di crescita sostenibile e solidale. Fondamentale sarà la loro funzione per accompagnare la transizione ecologica e nell’affrontare la battaglia per il lavoro e l’inclusione sociale”.

Noi rischiamo di diventare un sussidistan in cui puntare solo su welfare elettorale. Per creare lavoro il centro della nostra iniziativa si chiama persona. Non dobbiamo in nessun modo consentire la rassegnazione ai due milioni di nuovi disoccupati che prevede la Unione europea.

da Repubblica, 21 settembre 2020

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