RECOVERY

FUND

E SCUOLA

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di Sandro Trento

La Nota di aggiornamento del DEF (NADEF) dovrebbe porre le basi anche per l’utilizzo dei fondi del Recovery Plan. Secondo le anticipazioni dovrebbe esserci una revisione della tassazione diretta e indiretta, finalizzata a disegnare un fisco equo, efficiente e trasparente che favorisca anche la transizione verso la sostenibilità ambientale e sociale.

E’ chiaro però che la vera partita si gioca con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Governo si è impegnato a presentare entro il 15 ottobre non solo le priorità ma anche gli ambiti progettuali, l’allocazione e la finalizzazione delle risorse all’interno di questi cluster progettuali. 

Saprà il governo definire una chiara mappa degli interventi avendo una “visione” (come ha chiesto ad esempio il Presidente di Confindustria)?

Il nostro sistema economico soffre da molti anni di un ritardo di ammodernamento e di efficienza rispetto alle sfide poste dal cambiamento tecnologico, climatico e dalla concorrenza mondiale. Il PNRR potrebbe consentirci di affrontare alcuni dei colli di bottiglia che frenano il riaggiustamento del paese.

Avere un sistema formativo moderno è condizione indispensabile per cogliere le opportunità tecnologiche e soprattutto per assicurare maggiore mobilità sociale al paese.

Il tema dell’istruzione è oggi un tema identitario per un vero riformismo.

Una questione centrale è quella del grave ritardo accumulato dal nostro paese. Si tratta di problemi sin troppo noti: i risultati dei test PISA mostrano livelli di preparazione degli studenti italiani molto insufficienti; l’abbandono scolastico è ancora molto elevato; la quota di laureati, anche nelle coorti di età giovani, è di molto inferiore rispetto a quella di altri paesi avanzati; troppo scarso il numero di laureati nelle discipline scientifiche e tecnologiche. A questi si somma un generale problema di scarsa motivazione degli insegnanti e di ripensamento del loro ruolo.

Quello dell’istruzione e della formazione è uno di quei temi sui quali, a prima vista, tutte le forze politiche e sociali sembrano condividere una posizione favorevole al cambio di passo ma poi in pratica le distanze sono significative. Tutti sono d’accordo sul fatto che la scuola italiana debba essere al centro di un piano di investimenti e di miglioramento. Ma riformare la scuola non può essere solo prevedere investimenti per l’edilizia scolastica ed estendere la banda larga a tutte le scuole del paese.

Prendiamo il polverone che si è sollevato in queste settimane sul concorso straordinario per il reclutamento dei docenti. Da un lato, la ministra ha deciso di avviare un concorso, semplificato (con una sola prova a domande aperte), per l’immissione di nuovi docenti, dall’altro, il sindacato e anche alcune importanti forze politiche si sono dichiarati contrari.

Il riformismo concreto si misura proprio su questo tipo di problemi. E’ chiaro che bandire oggi un concorso straordinario non risolve il problema del reclutamento e della copertura delle cattedre scoperte. Forse i docenti selezionati oggi con il concorso riusciranno a prendere servizio solo a settembre 2021. Ma è irrinunciabile il principio che si possa accedere all’insegnamento solo a seguito di una selezione.

Sbagliato è infatti prorogare le supplenze e gli affidamenti per anni e anni senza vere e proprie forme di valutazione del merito.

Al pari di altri settori, anche nella scuola abbiamo assistito nel corso degli anni a numerosi tentativi di riforma via via abbandonati. Si sono sperimentate soluzioni interessanti come quelle della Scuola di specializzazione all’insegnamento (SSIS) e dei Tirocini formativi che prevedevano un percorso di formazione post-laurea per chi voleva intraprendere la strada dell’insegnamento. Ambedue le soluzioni avevano pregi e difetti ma assicuravano un sentiero di formazione e un meccanismo di selezione. Sul fronte opposto, invece, è sempre presente la tentazione di ridurre il precariato ope-legis.

Sarebbe questo il momento ideale per definire un chiaro e periodico meccanismo di reclutamento dei docenti. I mega-concorsi centralizzati sono troppo lenti. Due anni di formazione post-laurea forse sono troppi (SSIS) ma allora si potrebbe rivedere i curricula universitari per chi vuole dedicarsi all’insegnamento, prevedendo lauree magistrali che siano professionalizzanti e chiaramente destinate a chi vuole fare l’insegnante. Contenuti ma anche tecniche didattiche, pedagogia e competenze relazionali e di psicologia cognitiva. I futuri insegnanti andrebbero preparati davvero, sin da quando sono ancora studenti universitari.

Circa il reclutamento, si dovrebbe avere più coraggio. I mega concorsi nazionali forse non sono la strada rapida e flessibile. La legge 107/2015 (Buona scuola) aveva introdotto maggiore autonomia scolastica e assegnava un ruolo ai dirigenti scolastici anche sul reclutamento. Riprendere quel meccanismo potrebbe essere la soluzione auspicabile. Perché non spingersi oltre e consentire alle singole scuole di bandire dei concorsi graduati sulle esigenze specifiche del singolo istituto?

Ecco, è essenziale che il PNRR non sia solo una lista di investimenti ma sia l’occasione per un confronto senza pregiudizi sulle riforme, nella scuola e in tanti altri campi.

Capitale umano, tecnologia e mobilità sociale sono temi centrali per l’associazione “Base Italia”, che è nata per essere strumento di costruzione di un nuovo riformismo, coraggioso e inclusivo, è pronta a partecipare alla discussione.

da Il Riformista, 2 ottobre 2020

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