Sembrerà una provocazione, ma più d’una volta e per varie circostanze a me è capitato di provare nostalgia del Novecento. Detta in questi termini, l’affermazione ha del paradossale: ci siamo voluti sbarazzare dello scorso secolo prima ancora che finisse, più o meno alla caduta del Muro di Berlino. Può mai essere che ora, a vent’anni dall’inizio del terzo millennio, rimpiangiamo la sua fine? Può essere. C’è più d’una ragione per avvertire nostalgia, una fra tutte, cre-do, il bisogno di tornare a una cultura che non sia semplicemente intrattenimento e disimpegno, ma contenga i caratteri di una progettualità, che sia testimonianza etica e non si limiti a descrivere il mondo in termini corrosivi, ma aspiri a modificarlo, a dargli un orientamento, a narrare come dovrebbe essere anziché dichiarare com’è. Se qualcuno di noi si sente malinconicamente orfano del Novecento non sarà per le dittature e per le guerre mondiali, non sarà per il soffocante gioco delle ideologie che hanno ricondotto lo scorso secolo a una forzata recitazione di religioni politiche, ma perché avverte il bisogno di recuperare le origini di un atteggiamento legato a filo doppio con la nozione di modernità, da cui non è avulsa certo la funzione di chi usa le armi dell’immaginazione in relazione al tempo in cui tocca vivere.